La contraffazione è il principale concorrente dei brand di lusso. Un concorrente sleale che va a ledere la reputazione degli stessi marchi e la redditività delle aziende produttrici. Secondo i dati di Confindustria Moda, diffusi nell’ottobre 2020, il valore del commercio mondiale di prodotti made in Italy contraffatti dei settori tessile, moda e accessori ammonta a 5,2 miliardi di euro. Secondo EUIPO (l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale) le perdite a livello comunitario ammontano a 60 miliardi e a livello globale a 340 miliardi di euro. A ciò si aggiungono i minori posti di lavoro e il minor gettito per l’erario dei vari Paesi, il proliferare di attività illegali che spesso sfruttano il lavoro minorile e possibili danni per la salute per uso di materiali scadenti o trattati con sostanze tossiche.
L’Osce quantifica che ogni azienda deve investire 120mila euro all’anno per contrastare la contraffazione dei propri prodotti. Nel 2018 in Italia sono stati sequestrati 52 milioni di prodotti di cui il 25,4% sono articoli di abbigliamento, il 34,2% accessori, il 16% calzature, il 7,3% gioielli e il 3,3% occhiali. La tracciabilità dei prodotti, alla luce di questi dati, è un processo fondamentale per la sicurezza del marchio. Ma a che punto siamo?
La contraffazione non riguarda solo la vendita di imitazioni nel mercato nero a prezzi generalmente molto più bassi, ma si rende particolarmente insidiosa quando riguarda il cosiddetto mercato grigio, cioè la distribuzione di capi originali tramite canali non autorizzati. Il 75% dei consumatori acquista involontariamente prodotti contraffatti pensando di comprare degli originali a un prezzo vantaggioso.
A facilitare la vendita di prodotti del lusso contraffatti è anche il web. Spesso, infatti, le piattaforme non sono responsabili dell’autenticità e della tracciabilità dei prodotti venduti. Seppur in misura molto minore rispetto ad altri paesi, anche in Italia il mercato ecommerce del lusso sta assumendo dimensioni significative. Da un’indagine di Google in collaborazione con Ipsos, emerge che il 7% degli italiani che acquistano beni di lusso lo fa unicamente online. In mercati digitalmente più maturi questa percentuale arriva al 19%. L’identikit degli alto spendenti online o offline in Italia è costituito da uomini e donne in egual misura tra i 30 e i 50 anni, l’89% lavora e il 71% ha una situazione finanziaria costruita autonomamente. Solo il 13% non si considera così abbiente.
Alla tutela dei consumatori e dei brand viene in soccorso la tecnologia blockchain che rende tracciabile ogni passaggio di un bene e permette ai consumatori di verificarne l’autenticità e di accedere a contenuti esclusivi del brand, prima di effettuare l’acquisto, e al produttore di ricevere dati dai consumatori per raffinare il targeting e le attività di CRM.
L’identità digitale di un prodotto è leggibile e tracciabile anche grazie ad altri sistemi ormai molto noti che si integrano con il blockchain, come l’Rfid, NFC e il QR Code. Attraverso questo processo di serializzazione è possibile tenere tracciabilità dei singoli prodotti a partire dalla loro fabbricazione, lungo la catena di distribuzione e vendita fino all’utilizzo da parte del consumatore finale. I consumatori sono quindi coinvolti nella product authentication e i prodotti fisici diventano per i brand uno strumento di connessione diretta 1to1 con i consumatori. Grazie a questo contatto diretto la fidelizzazione diventa più semplice e personalizzata e per le aziende rappresenta un bacino di dati utili per la business intelligence e la verifica della customer satisfaction.